Mia mamma da giovane faceva l’infermiera,adesso è in pensione. Quando ero bambina, mi faceva sempre baciare tutti, una volta mi fece baciare il cadavere di un bambino,era pallido e freddo, così va’ in paradiso, mi diceva . Quando in primavera c’erano i primi fiori me li raccoglieva e me li portava a casa, mi disegnava sui quaderni quelle belle cornicette dicendo poi alla maestra che le avevo fatte io. Mia mamma è come quella mamma del film” New York stories” dove nell’episodio con Woody Allen, la mamma leggermente invadente, trapassa, sparisce per un pò per poi apparire nel cielo e mettere ancora alla mercè il povero figlio. Mia mamma è così, praticamente io da piccola non ho mai avuto un segreto. Lei da grande divulgatrice che è tuttora mi metteva regolarmente in piazza. Mi ricordo che da ragazza, non seguivo molto lo stereotipo della “ragazza-femmina” amavo: i fumetti,le avventure nei campi, le battaglie con le zolle, i ragni e con massima disperazione di mia madre, non mi vestivo mai da femmina. Avevo allora un diario dove scrivevo le mie impressioni sulla vita e sull’amore. Mia mamma naturalmente lo conosceva a memoria. Un giorno dovevo forse aver scritto qualcosa che a lei parse più strano del solito, mi mise in contatto con alcune ragazze dell’unione donne italiane. Quando le incontrai, mi chiesero se ero al corrente” della questione femminile”. Io barai, dicendo che lo ero. In realtà non sapevo assolutamente niente e pensavo alla mia famiglia dove le donne erano o delle despote o delle rompi scatole. Io a quel tempo non avevo ancora deciso di essere femmina. Per quel che mi riguardava ero semplicemente io. Nella mia famiglia le femmine in questa stagione vanno nei campi a prendere le erbe. Io ci tengo in modo particolare lo vivo come un rito, risveglia in me quella coscienza ancestrale dove le donne governavano il fuoco, l’economia e la salute del gruppo. Ormai adesso ci andiamo in poche, le mie cugine non ci vengono, così siamo, io , mia mamma e mia zia. L’anno scorso andammo in un campo nuovo, cercavamo ìl tarassaco e la pianta del papavero, c’erano anche degli operai intenti a lavorare. Mia mamma attaccò subito a raccontare cosa ci facevamo là, più tante cose, mi allontanai solo quando sentii che gli raccontava che non sono ancora sposata. Andai verso il limite del campo e vidi il tracciato di un bel fosso, lungo i bordi si trovano certe erbe buonissime per il risotto, mi misi a cercarle. Mi accorsi però che le erbe erano dall’altra parte e pensai erroneamente che sporgendomi ce l’avrei fatta a prenderle. Prima sono finita con una gamba dentro ad una specie di sabbie mobili verdi e poi per tentare di uscirne ci sono finita anche con l’altra. Risultato ero dentro alla melma fino a sopra il ginocchio. In qualche modo e con mille parolacce sono riuscita ad uscirne, ma con una scarpa sola una é rimasta per sempre là. Incazzatissima mi avvio verso le altre con i jeans pieni di purè verde immaginando di avere contratto chissà che virus sentendomi addosso anche le sanguisughe de” la regina dell’Africa”. Mia mamma mi vede da lontano e mi dice:” Perché ti sei cambiata?” Adesso uno si domanda ma che cavolo di domanda è questa? Man mano che mi avvicino mia mamma mi dice: dove ho preso gli stivali verdi, perché vado così piano e perché non le rispondo. Quando si accorge di quello che è successo prima si mette ad urlare il suo richiamo che é;” OH PAR CARITà”. Che tradotto vuol dire venite tutti a vedere. Poi chiama a raccolta gli operai per far vedere quanto imbranata è la figlia. E tutti se la ridono mentre io considero la possibilità di farmi cinque chilometri a piedi con una scarpa sola. La gogna non finisce là una volta salite in macchina per la puzza mia mamma ha guidato con tutti i finestrini aperti. Ad ogni essere vivente che si avvicinava mostrava il disastro di figlia che aveva. La storia del fosso durò circa un anno e diventò il clou delle serate a carte con le amiche.
D.R.C