La settimana scorsa ho rivissuto un episodio, capitatomi gia’ in passato. L’ accadimento in questione e’ questo. Molti anni fa, una mattina, arriva al bar un signore distinto, mi dice di essere un amico di mio padre, nominandolo per nome proprio e di essere momentaneamente sprovvisto di contante. Aveva il bisogno istantaneo di prendere delle medicine, salvavita, in farmacia. Così mi chiese una certa cifra, somma che avrebbe poi restituito a mio padre, suo carissimo amico. In buona fede, consegnai il richiestomi, visto oltretutto che il signore aveva parlato di emergenza. Quando arrivo’ mio padre per darmi il cambio, fu subito da me avvisato dell’accaduto. Lui cadde dalle nuvole dicendomi di non conoscere assolutamente, alcun amico che corrispondeva alla descrizione. Il risultato fu una dettagliatissima disamina di quanto, come fossi e sono secondo lui, stupida, ingenua e con la testa sempre fra le nuvole. La settimana scorsa dicevamo, erano circa le 14.30, si presenta un signore distinto, con capelli grigi e strani baffi ottocenteschi. Era vestito come un dandy e portava al dito un eccentrico anello che lo rendeva ancora più improbabile. Tutti questi dettagli, sospetti, si impara ad osservarli dopo che nella vita non si ha, purtroppo, molta fiducia nel prossimo. Il signore stavolta mi saluta e mi chiede se sono la titolare. Io soprassiedo e passo oltre, lui mi dice che la moglie e’ mia cliente. La sua signora e’ la dottoressa tal dei tali, forse non sapeva che per l’ubicazione del locale, noi abbiamo quasi solo professori, dottori, ricercatori e tutte quelle categorie di poveri praticanti sfruttati a gratis. Mi racconta che la suocera, umbra, e’ improvvisamente deceduta. La moglie presa dalla disperazione, e’ salita in auto ed e’ partita all’istante. Mentre mi raccontava la storia, immaginavo quante persone aveva intrattenuto prima di me, con sta balla gigante. La disperata signora, qua sta il punto, era partita lasciando nell’auto il borsello del marito, ed ora lui era li’ a raccontarlo a me. Immediata ci fu la domanda, pochi euro, a suo dire. Io gli risposi che, fatalità, la gatta quella mattina si era mangiata la chiave della cassa ed era dal veterinario in gravi condizioni, anche noi stavamo vivendo una tragedia. Il signore capi al volo, mi saluto’ e giro’ rapidamente i tacchi. Non raccontai niente a mio padre, che sicuramente avrebbe avuto da ridire anche su quest’episodio. Quando andai a casa trovai ad attendermi davanti alla porta, in un sontuoso cestino, la mia gatta Matedda, la accarezzai e le dissi:” Golosona tutta la sua mamma.” Lei mi guardo’ con i suoi occhi color smeraldo e mi regalo’ dei ronfi terapeutici.
D.R.C.