Scrivo questo racconto sotto la minaccia di una donna, immaginate su cosa mi minaccia …
La settimana scorsa il titolare aveva bisogno del furgone e in laboratorio c’era bisogno di portare degli oggetti pesantissimi e lunghissimi da un campo distante circa 800 metri.
Il titolare, prontamente viene a capo del problema, dicendomi di andare a prendere un carretto, di quelli a due ruote, poco lontano dal campo.
Presto fatto, esco dal laboratorio e sfrutto la camminata per mangiarmi il panino e bere un sorso d’acqua. Poco prima del campo ci sono due signori che con maestria svuotano un bidone da 500 litri di acqua senza rovesciarlo ma giocando con i famosi vasi comunicatori, o meglio metodo del vinaiolo, canna dell’acqua infilata dentro e per dislivello (trovandosi la botte a monte e la canna a valle) si fa uscire l’acqua. Che bravi, penso così danno da bere all’orto e non fanno fatica. Arrivo dove si trova il carretto, e naturalmente era carico di oggetti, giustamente, e’ un carretto se non ci metti sopra qualche cosa, che carretto e’ ? Svuoto il carretto, scendo una piccola discesa e subito salgo la salita che mi porta al campo con il materiale che mi aspettava. Mi sembrava essere tornato indietro nel tempo, quando da giovane (periodo delle medie) frequentavo il mercato ortofrutticolo e tiravo i carretti stracolmi di frutta e verdura destreggiandomi tra i camion enormi e puzzolenti, aspettando che sorgesse il sole per tornarmene con due lire a casa. Dopo queste righe da sommo pensatore arrivo al campo e sollevo il telone che copre la merce.
Senza dubbi quello che mi serviva era sotto di tutto, se non era sotto di tutto poco ci mancava.
Porto il carretto appena dentro il campo, altrimenti avrei ingombrato tutta la strada, e inizio a giocare di leva per portare questi oggetti lunghi e pesanti sopra al carretto.
Prima prendo la testa e la sollevo sopra il carretto e poi prendo la coda e la posiziono dritta sopra al carretto. Manco a dirlo, primo: l’oggetto e’ troppo pesante e il carretto si impenna secondo: finisce sopra la maniglia.
Recuperato l’equilibrio, la maniglia rimane coperta e inaccessibile, non mi preoccupo e tralascio il problema per dopo.
Continuo a caricare e la fatica inizia a farsi sentire, secondo 2 calcoli il materiale mi sembra sufficiente e vado per spostare il carretto, ma udite, udite ….. il carretto era sprofondato, la gamba di metallo che lo sorreggeva era sprofondata e piegata.
Sprofondato, il carretto, nella bellissima acqua che i signori veneziani (in luogo di montagna) avevano versato sul loro orto e per caduta, visto il dislivello, sul campo dove stavo lavorando.
Alzo gli occhi al celo e poi verso l’orto, erano spariti. Mi venne in mente che erano appena andati via salutandomi e ridacchiando. Maledetti, dalla fatica non mi ero accorto che da un pezzo stavo facendo cic-ciac con le scarpe immerse nell’acqua. Torno al carretto, non riesco ad arrivare alla maniglia sommersa parecchio sotto la merce.
Il mio spirito di MC Gyver ha la meglio e mi tolgo la cintura per prendere la maniglia.
Esito positivo provo ad alzare il fronte del carretto, NIENTE.
Ci voleva semplicemente piu’ forza. Il piantone che sta difronte al carretto si era inabissato nel terreno.
Comunque riesco ad alzare il fronte del carretto, ma non a spostarlo, ne in avanti ne indietro, le ruote sono sprofondate e piegate vistosamente. Mi chiedo: “ma dove voglio andare ?”.
Non rimaneva altro che togliere del materiale e così feci.
Rimisi al suo posto tutto quello che c’era sopra, rimisi anche il telo assicurandolo con i legacci.
E mi rimisi alla cloche di comando, anzi alla cintura di comando.
Il Carretto non si spostava ancora. Non potevo chiamare il titolare e mandarlo a ……… , mi avrebbe risposto ( come poi successe) che lui l’aveva fatto mille volte. Insomma feci dondolare avanti un cm e indietro 2 e avanti 3 , fino a sbloccarlo dalla fossa in cui era precipitato e ancora tirando faticosamente riesco a metterlo in strada.
Ho fatto molta piu’ fatica di quanta riesca a spiegare, visto che non ho scritto che il carretto tendeva a sollevare la parte frontale e io, che peso poco meno di 70 kg dovevo appoggiare un avambraccio e tirare contemporaneamente.
Problemi a fare due cose contemporaneamente non ne ho ancora, ma se mi sollevo non ho piu’ grip per poter tirare e se mi metto dietro corro il rischio che il materiale mi investa.
Bene, riesco a mettermi in strada e ad iniziare la salita.
Male, era iniziata la salita lunga, poco dopo, la salita si fece ardua e il mio cuore, arrivatomi alla gola, mi obbligo’ a fermarmi. Non a rilassarmi, il carretto tendeva a scendere,
Il carretto tendeva a scendere ? E le mie braghe ? ANCHE. Potevo mascherare la pausa per tirarmi su i pantaloni, invece no, la fatica era mostruosa, guadagnavo terreno a decine di metri alla volta.
Ebbi anche una visione Mariana, vidi una signora con la carrozzina che scendeva verso la mia direzione e quando ci incrociammo gli chiesi se voleva fare cambio…. Si mise a ridere e mi chiese quanto dura fosse, dal momento che lei faticava a fare quella salita spingendo la sola carrozzina con il bimbo di pochi mesi dentro.
Mi rincuoro’ parecchio, ma non dovetti sedermi sulle preoccupazioni, altrimenti mi sarebbero caduti i pantaloni.
Passai difronte a degli operai, smisero di lavorare per guardarmi passare in religioso silenzio.
Non era ancora finita, le mani iniziavano a spaccarsi tra il pollice e l’indice. Ma Rambo chi e’? Ha mai perso i pantaloni tirando un riscio’ con sopra un’elefante, in salita ?
Mancavano pochi metri e da dietro sento la voce di un signore e con la coda dell’occhio riconosco come il vicino di laboratorio. Gentilmente si presto’ subito a spingere. Vabbe’ anche se per pochi metri, mi andava bene tutto.
Smise subito, per lui era troppo faticoso……
Porca miseria.
La discesa per arrivare al laboratorio e’ abbastanza ripida, diciamo che ha piu’ pendenze.
Appena imboccata la discesa il carretto prende subito velocita’, quasi investendomi, mi spinse contro un muro (di quelli con il cemento tutto goffrato o meglio a bugni). Mi sarei fatto sicuramente del male, invece mi procuro’ solo una botta sulla schiena e una grattugiata al gomito, tipo quelle delle cadute in bicicletta.
Apro una parentesi, il gomito in questione e’ lo stesso che la mia dolce meta’ mi curo’ dopo una caduta in moto, e mentre lo puliva con il disinfettante e una garza per togliere i grani di asfalto, gli dicevo di grattare meglio, perché c’era del bianco ancora, era l’osso !
Per rimettermi in marcia dovetti, rialzarmi da terra, rialzarmi i pantaloni e rimettermi una scarpa e riprendere la cintura e tenere le tavole verso il basso. Ora in discesa avevo le scarpe che si toglievano, ci mancava altro.
Capito l’andazzo presi la discesa lentamente. Mi sfuggi’ il carretto un’altra sola volta (perdendo ancora una scarpa, l’altra) e il carretto ando’ fragorosamente a sbattere contro la casa delle vicine di laboratorio (che non ci vedono di buon occhio).
L’impatto fece un gran botto e lascio’ un segno sulla parete in pietra. Lo sappiamo solo noi.
Ero fradicio di sudore, non riuscivo neanche a camminare e trascinavo i piedi dalla stanchezza.
Negare che mi stavano girando le ventole sarebbe da bugiardo, ma mi passo’ con le ore.
In serata lo raccontai al titolare, che si mise a ridere, e a vedere questa scena dopo essermi ripreso dalla fatica (un po’ come vedere un fatto che ti tocca dopo che ti e’ passata l’ arrabbiatura) mi sono fatto delle grossissime risate anch’io.
A.L.