Adesso che è trascorso qualche giorno, la paura è passata, il nervoso anche, posso raccontare con calma quello che mi è successo qualche mattina fa, in pieno centro città.
Dopo aver preso un tonificante caffè al Bar, prima di entrare in ufficio per il lavoro, mi sono fermata alla banca per fare un prelevamento.
E’ una giornata piovosa, e sono attrezzata con ombrello infilato in un sacchetto, borsa con tutte le mie cianfrusaglie a tracolla, giornali e CD appena acquistati.
Il Bancomat interno non è molto sicuro, si possono fare brutti incontri; già un paio di volte mi è capitato di disturbare il giusto sonno di qualche extracomunitario che aveva passato la notte al caldo. Meglio quello esterno, c’è sempre qualcuno che passa.
Mi guardo attorno, nessuno. Voltando le spalle alla strada, faccio il mio solito prelievo di pochi euro e … non faccio in tempo a mettere le banconote nel portafogli che percepisco un’ombra alle mie spalle. Istintivamente in una mano stringo come in un artiglio le banconote appena prelevate, nell’altra, tengo strettamente chiuso il portafogli, mi sento abbracciare da dietro (non è certamente mio marito) e afferrare la mano con i soldi e strattonata in malo modo. Cercando di mollare un calcio all’inguine (ma più in su delle caviglie non riuscivo ad arrivare) di quello scippatore, invece di mettermi ad urlare come un’aquila (e la voce non mi manca) ho iniziato un violento e spasmodico tiramolla con quel disgraziato chiedendo con voce normale “che c…o vuoi …, che c…o vuoi …” ben sapendo che voleva i miei soldi e non usarmi violenza in mezzo alla strada.
Nel frattempo, nessuna delle persone che passava di là si è guardata bene dal darmi una mano saltando addosso a quell’energumeno che continuava a strattonarmi per portarmi via un ben magro bottino.
Alla fine, continuando a chiedere “che c…o vuoi …” e mollandogli gomitate nelle braciole, sono riuscita a fargli perdere per un attimo l’equilibrio e, visto che ormai gli spettatori si facevano sempre più numerosi, il mancato scippatore si è dato a una fuga precipitosa. In quel momento, tra tante cose che volevo urlargli dietro (ladro, delinquente, farabutto, str…., figlio di …) dalla bocca mi è uscito solo un sonoro “CIALTRONE!”.
Cialtrone? Non è una parola del mio vocabolario comune. Con tante parole più forti ed espressive, proprio quella mi doveva uscire di bocca? Dal tremendo nervoso che mi stringeva lo stomaco, mi sono seduta su una vicina panchina ridacchiando e mormorando ancora una volta “cialtrone … cialtrone”. Poi, sono riuscita a mettere in salvo le banconote che ancora stringevo nella mano e, solo in quel momento, una signora si è degnata di chiedermi con un filo di voce “Signora, si sente bene? Posso fare qualcosa?” dileguandosi velocemente prima che potessi dire “No, grazie”.
Una volta recuperato il sangue freddo con un altro buon caffè, sono andata in ufficio, con quella stupida parola che continuava, e continua a ronzarmi nel cervello: cialtrone.
Ancora adesso, quando ci penso, mi vien da ridacchiare.
Mari