Quella volta, nostra figlia ci aveva chiesto di poter festeggiare la fine dell’anno nel patronato di uno dei suoi numerosi amici. Non avremmo dovuto preoccuparci di niente, solo dare il permesso (concesso di buon grado, seppure a malincuore).
I preparativi erano frenetici. Giuseppe aveva prenotato il patronato senza trovare alcuna difficoltà (ahi, ahi, festina faidate?). Disse che il parroco aveva dato la disponibilità della sala ad un prezzo simbolico, mostrando qualche perplessità, ma non più di tanto …Una parte delle ragazze, creative, stava preparando gli addobbi, gli striscioni, gli ornamenti, il materiale di arredamento. L’altra parte aveva dato la disponibilità al reperimento ed alla preparazione delle cibarie non deteriorabili come panettoni e pandori avanzati a Natale, mentre i tramezzini e i cibi freschi sarebbero stati preparati il giorno della festa. I ragazzi avevano procurato le bevande (rigorosamente analcoliche …) ed avevano effettuato tutte le pulizie del salone.
Il gran giorno si stava avvicinando rapidamente, i preparativi quasi ultimati, l’eccitazione dei ragazzi alle stelle.
Finalmente, il 30 dicembre, nostra figlia cominciò di buon mattino a preparare un tiramisù (abbondante) per venti persone … il tutto con una mano sola, perché l’altra era sempre occupata col telefonino che squillava in continuazione. Quando non veniva chiamata, era lei che telefonava agli amici.
Ogni tanto la mamma veniva interpellata per fornire consigli sulla preparazione del dolce (in realtà il dolce lo fece quasi tutto lei …).
La TRAGEDIA (non solo con la T maiuscola, ma TUTTA MAIUSCOLA e in grassetto), scoppiò improvvisa quando Mamma chiese a Figlia in quale frigorifero avrebbe tenuto quella mega bomba calorica fino alla sera seguente.
“Ma siete COMPLETAMENTE FUORI DI TESTA?” fu la risposta garbata di Figlia (a trecento decibel di volume), ” … alle 8 di STASERA viene Giuseppe a prendermi con la macchina e portiamo tutto in patronato per la FESTA!” (sempre a trecento decibel).
Mamma, allora, con tono dubbioso nella voce: “Ma, se oggi è il 30 …, la roba da mangiare dove la tenete fino a domani sera?” … Trenta secondi di silenzio profondo (escludendo il ridacchiare soffocato che proveniva dal sottoscritto che aveva seguito la discussione dallo studio) … poi l’illuminazione finale. Vi assicuro che il cervello di nostra figlia fumava come la ciminiera di un cementificio. “PERCHE’ NON MI AVETE DETTO CHE DICEMBRE ARRIVA A 31?” (questa volta i decibel arrivarono a 500, resi ancora più sgradevoli alle orecchie dal tono acuto della voce).
“Forse perché ancora da prima della riforma del calendario Gregoriano, dicembre ha sempre avuto 31 giorni? Forse perché fin da quando hai chiesto il permesso per la festa hai sempre parlato dell’ultimo dell’anno che, ovviamente, per noi era il 31, mentre per te, Giuseppe e gli altri poveri di spirito (in arte: ebeti come el paltàn), ovviamente, era il 30! Possibile che a nessuno di voi, venti mentecatti, sia venuto in mente che San Silvestro cade il 31 di dicembre? Possibile che a nessuno sia venuto qualche dubbio sul fatto che il patronato sia stato concesso così facilmente? E che domani sera non troverete neanche un ripostiglio libero?” … e avanti con la storia di “30 giorni ha novembre … ” con tutto quel che ne segue. “Quel(censura) di Giuseppe! Si è fatto turlupinare dal parroco!” (questa volta i decibel erano intorno ai 700).
Subito dopo, afferrato il telefonino ha cominciato una serie di chiamate incolpando il demente di turno di non essersi accorto che dicembre ha 31 giorni (dimenticando di inserire anche se stessa nel numero dei dementi) e di essere la causa del disastro. Ad ogni telefonata i decibel aumentavano sempre più, tanto da finire fuori scala.
Finalmente la crisi isterica passò (anche per la mancanza di fiato dell’interessata), lasciando la figlia completamente spossata, affranta ed accasciata piangente sul letto in attesa dell’imminente “fine del mondo”.
La cosa che la faceva imbufalire di più era il terrore di essere presa per i fondelli da tutti gli amici e parenti per quel clamoroso errore di data ormai passato alla storia della nostra famiglia.
Un cuore di mamma, però, trova sempre il modo per appianare e risolvere le cose e, approfittando anche di certe lacune in geografia di nostra figlia, Mamma la buttò là … “… Beh, visto che all’Isola di Tonga c’è la linea di cambio di data, potreste festeggiare il Capodanno come se foste agli antipodi … e in anticipo su tutti gli altri …”.
La cosa non è del tutto vera, ma tanto bastò a Figlia per illuminarsi nuovamente … esaltarsi ancora di più, prendere il telefonino e rifare ancora il giro di telefonate agli altri dementi come se fosse stata lei ad essere fulminata da quell’idea balzana, raccogliendo anche le adesioni entusiastiche di tutti.
Fu così che la sera del 30 dicembre, in un oscuro patronato di periferia, ebbe luogo la festa di capodanno di Tonga, con tanto di cenone, balli, trenino, conto alla rovescia, brindisi al nuovo anno, urli di auguri reciproci e sparo di qualche timido, sparuto, innocuo mortaretto.
In anticipo su tutto il resto del mondo … 12 ore anche prima degli abitanti di Tonga … che per fortuna non l’hanno mai saputo.
Bi.Co.